Emanuele Altissimo - Luce rubata al giorno - Recensione di Giulia

Cari amici di Caffè Corretto, ecco la quinta recensione di Giulia. Luce rubata al giorno di Emanuele Altissimo edito da Bompiani

Anche nelle mie notti c’era posto solo per mio fratello. Lo seguivo mentre si allontanava nell’oscurità, gli correvo dietro. Lo tiravo per una spalla e urlavo la mia rabbia con la voce amplificata degli incubi. Lui però non rispondeva mai. Restava fermo con un sorriso spaventoso. Allora mi svegliavo in lacrime, pieno d’odio, del tutto inesperto di come può ridurti l’amore.

Luce rubata al giorno è un romanzo che parla di sentimenti e di dolore. A raccontare la storia di quell’estate che cambiò per sempre la vita di una famiglia è un ragazzo di 13 anni. Questo è il motivo per cui il linguaggio della narrazione è asciutto, concreto e privo di formalismi. Nel flusso di coscienza di questa giovane vita si avverte l’urgenza di raccontare qualcosa.
Olmo non è come i ragazzi della sua età, il dolore e la mancanza l’hanno privato della spensieratezza tipica della preadolescenza. Quelle piccole ingenuità nascoste tra le righe, oltre a suscitare tenerezza, assumono un valore fondamentale per capire e apprezzare la lettura.

A Olmo viene affidato un altro ruolo importante: quello di tenere insieme tutti i componenti della famiglia, anche quelli che non ci sono più. Il buio delle tenebre sta accelerando la sua corsa mostrando l’altro volto di quelli che erano i suoi eroi, e l’unico barlume rimasto sembra essere un magnete che cattura la luce del giorno per rilasciarla di notte.

Lo stile minimalista caratterizza anche i dialoghi. Emanuele Altissimo centellina le parole riducendo la comunicazione all’essenziale. In questo modo i silenzi producono la giusta tensione tra i personaggi e permettono di dilazionare le informazioni utili alla trama nel corso della narrazione.
Grazie a questo gioco di assenze e frasi interrotte, le azioni e i gesti dei personaggi si caricano di sentimento: Aime lava un piatto non utilizzato e poi lo scaglia fuori, Olmo aspetta il fratello per completare la cima di un modellino.
Al centro del romanzo c’è un malessere psichico, un tema di cui si parla poco perché non è sempre facile da riconoscere. Ma anche quando lo si individua capita di chiudere gli occhi, soprattutto se ad esserne colpito è qualcuno che si ama. Questo potrebbe essere un motivo per cui l’autore non nomina mai la malattia mentale nel libro. Inoltre a parlare è un ragazzino che ancora non sa dare un nome a quel malessere.
Olmo, però, non chiude gli occhi, nipote e nonno si accorgono che Diego sta raggiungendo un punto di non ritorno perché un coro di voci lo richiama a sé dal fondo di un abisso.

“Gli edifici sono come noi” disse senza staccare gli occhi dal palazzo. “Più sono grandi, più sono complicati” continuò, indicandomi un gabbiotto intorno al quale c’erano degli operai con i caschetti gialli. “E diventa impossibile capire dove le cose sono andate storte.”

Ci sono romanzi in cui l’ambiente è così preponderante da diventare un protagonista imprescindibile della storia, ne è l’esempio l’opera di Emanuele Altissimo. Attraverso la descrizione della montagna e dei boschi l’autore evoca uno stato d’animo di malinconia, ma anche un sentore di pericolo. Il paesaggio rispecchia ciò che accade nei personaggi, i loro sentimenti e anche le loro aspirazioni. La montagna, così come gli edifici che costruisce Olmo, creano un’immagine di grandiosità, imponenza, ma anche di minaccia.
L’autore apre la porta al lettore e lo invita a entrare nella casa di Olmo, Diego e Aime. Quando se ne esce si portano via tante domande e riflessioni. Prima fra tutte: quanto conosciamo le persone che amiamo? Esiste un limite, oltre il quale non si può agire, per tenere unita una famiglia?
Luce rubata al giorno è comunque un libro che parla di speranza, parte dal buio per arrivare alla luce, e mostra come è possibile conservare questo barlume anche nei momenti più neri della vita.

Andai in camera, frugai in valigia e presi il magnete di Nives. Tornai in cucina e lo attaccai al frigorifero. Presto avrebbe fatto buio e allora l’avrei visto brillare della luce rubata al giorno.

La parola magica di questo romanzo è unione. Nel libro ricorre l’immagine di un edificio in cui ogni pezzo è fondamentale per far sì che resti in piedi, ma allo stesso tempo esiste un punto massimo di sforzo a cui può essere sottoposto prima che collassi. Lo stesso vale per le persone. L’unione è qualcosa che racchiude ed è il concetto su cui si basa l’idea di famiglia.
Ma unione è anche sentirsi tutt’uno con se stessi, avere coscienza e controllo delle azioni che si compiono.

Un sentito grazie ancora a Giulia. Vi invitiamo a seguirla sul suo sito laparolamagica.com